Al Teatro La Fenice di Venezia è di scena L’Elisir d’Amore di Gaetano Donizetti, opera buffa in due atti su libretto di Felice Romani, la cui prima rappresentazione risale al 12 maggio 1832 a Milano, Teatro della Cannobiana.
di Salvatore Margarone e Federico Scatamburlo
L’Elisir d’Amore segna una svolta importante nella storia dell’opera buffa. Qui l’allegria “non nasce per puro impulso musicale, ma dal personaggio, e questo non è una comica marionetta, ma un carattere che con le sue manchevolezze e coi suoi lati borghesemente umani ispira un sorriso bonario da cui non è aliena la commozione”, diceva il Sartori.
L’argomento è tratto da Le philtre di E. Scribe, già musicato da Auber nel 1831 e la vicenda è ambientata in un immaginario villaggio dei Paesi Baschi.
La rappresentazione a cui abbiamo assistito sabato 24 Settembre ci è sembrata abbastanza in linea alle aspettative per l’opera buffa donizettiana: ambientazione ricreata semplicemente con fondali e i bellissimi giochi di luci di Vilmo Furian.
Dirige Stefano Montanari, giovane e talentuoso direttore d’orchestra e non solo, che riesce a dare il giusto piglio buffo ai tempi donizettiani, dirigendo una agguerrita Orchestra della Fenice di Venezia in un crescendo alle volte quasi rossiniano. Affascinante la tecnica di direzione di Stefano, che fa letteralmente “volare” le note, con gesti che creano volumi sontuosi e accattivanti e che talvolta rapiscono e catturano l’attenzione più della messa in scena stessa.
Il rovescio della medaglia però, per un esecuzione così articolata, è la necessità di avere sul palco voci adeguate. La performance dell’intero cast infatti ne è stata decisamente penalizzata, e spesso le voci non sono arrivate in sala.
Adina, interpretata da Irina Dubrovskaya, incarna un personaggio leggero, altezzoso, ma allo stesso tempo pulito e corretto nell’esecuzione vocale. Il giovane tenore Giorgio Misseri, nei panni dello sciocco Nemorino, non ha invece convinto molto il pubblico, a causa di una voce piccola e che non arrivava in sala, molto spesso coperto dall’orchestra, e che non è riuscito a fare colpo nemmeno con l’aria più famosa dell’opera, “una furtiva lagrima”, per la quale ha riscosso timidissimi applausi. Ottima invece la performance di Marco Filippo Romano che interpretava Belcore: bella voce scura, pulita e scenicamente calato nel suo personaggio che ha reso perfettamente dall’inizio alla fine.
Il finto medico distillatore, Il dottor Dulcamara, è stato interpretato dal poliedrico baritono Omar Montanari, che già avevamo apprezzato, sempre in questo teatro, in Mirandolina e in Barbiere di Siviglia. Decisamente protagonista ha rubato la scena a tutti gli altri interpreti, donando al personaggio tutta la personalità buffa che richiede, senza risparmiarsi mai anche nelle parti dove avrebbe potuto, con bella voce baritonale, piena, potente e dizione perfetta arricchita da sfaccettature sottili nell’interpretazione che non sono passate inosservate. Meritatissime quindi le ovazioni durante e alla fine dello spettacolo.
La piccola Giannetta, interpretata dalla giovane Arianna Donadelli, appare inizialmente fragile vocalmente, ma emerge maggiormente nel secondo atto dell’opera, mostrandosi più sicura e precisa nell’esecuzione.
Nei bellissimi costumi di Gianmaurizio Fercioni é stato strepitoso come sempre il coro del Teatro, molto presente in quest’opera, sia vocalmente che scenicamente, diretto magistralmente dal M° Claudio Marino Moretti. Anche il Maestro al Fortepiano Roberta Paroletti non si è risparmiata accompagnando i recitativi dell’opera. Simpatica la regia di Bepi Morassi che ha anche coinvolto il pubblico in sala con interazioni dirette con lancio di volantini dal loggione e incursioni da parte di alcuni artisti del coro nel corridoio centrale e nel finale dallo stesso Dulcamara, il quale dalla platea ha concluso con simpatia questa bella e divertente produzione del Teatro La Fenice.
Photo:©Michele Crosera